lunedì 7 ottobre 2013

L'EPICA DELLE DONNE. RELAZIONE PER " Io viaggio da sola" DI NICOLETTA VITALI


 
L'IMPOSSIBILE A DIRSI

Volendo sondare un terreno della letteratura profondo e affascinante quanto quello dell’epica non possiamo rinunciare a prendere in considerazione il suo sostrato antropologico, analizzandolo nell’espressione propria della sessuazione del linguaggio e dell’immaginario proposto. Ci interessa muoverci, trasfigurarci, adottare ottiche diverse per commisurarci con un inventario di eventi di vita e di pensiero collettivi che non ci coinvolgono, benché ci sconvolgano.

Dove collocare lo spazio simbolico del femminile per avverarne il luogo reale nella sua e altrui esperienza di vita? Domanda che rivendica più di quanto legittimi in termini di “presenza”. Tentiamo allora di scoprire su quale (s)fondo teoretico riposa l’epica dell’eroe classico e moderno, alle prese con una sfera attanziale apparentemente modellata su scale di valori condivisi e proiezioni di identità (maschili) modellate sul piano della narrazione “originaria”.

“L’epica può raccontare ciò che la tragedia non può rappresentare: l’impossibile”, Aristotele, Poetica, 24, 1460 a.

L’epica racconta l’impossibile, un impossibile noto però, poiché la comunità vi si riconosce in valori, credenze e senso dell’onore. L’impossibile raccontato dall’epica non può terminare nel significato di “oltre il possibile”, così come saremmo portati ad intendere considerando il suo valore d’uso nella lingua naturale.

L’impossibile deve essere più radicale di una fantasmatica esperienza mitica. L’impossibile dell’epica è non-possibile, negazione del possibile. Chiediamoci che cosa sia questo possibile negato nella figura dell’eroe e dell’impresa epica, ma soprattutto chi sia e dove sia. La tragedia lo rappresenta, lo parla e lo agisce: il dramma di un possibile che ha perso la sua voce nell’i(n)spirazione di un canto. La tragedia rappresenta Antigone, Medea, Agave e le Menadi, le figlie di Danao, le Troiane. Le rappresenta, ri-ad-“presentandole” nella viva carnalità della donna che agisce e patisce oltre un’ambientazione scenica e una stesura narrativa.

Nell’epica l’esclusione della possibilità determina la magnificenza e la grandiosità dell’azione, in quanto l’eroe sfida una sorta di necessità degli eventi che lo mette in relazione diretta con l’ordine cosmico. L’eroe ha bisogno di relativizzare la necessità della natura, contrapponendosi ad essa e negandola con la forza dell’identità del proprio Idem. Un ordine razionale da fare invidia all’illustre dialettica hegeliana sembrerebbe reggere i movimenti del soggetto se non fosse che egli stesso si costituisce in questa antitesi, nella disgregazione di un Sé che si abbatte sulla presunta necessità, combattendo il molteplice, il possibile.

L’eroe “fa getto di sé per ritrovarsi”[1], estraniandosi dalla natura, negandola nella sfera delle possibilità del suo farsi, attraverso la ragione, l’astuzia, l’espediente, lo scambio, il sacrificio come compromesso con la necessità naturale che si vuole combattere e sopra cui ci si vuole affermare.

Così il carattere sovrumano dell’impresa ci è familiare nella raffigurazione dell’eroe errante, l’avversità, il sacrificio, la rinuncia sembrerebbero essere le immagini ineluttabili di colui che decide di farsi identità, affermazione, ego consapevole del fatto che “la dignità di eroe si acquista solo con l’umiliazione dell’impulso alla felicità intera, universale, indivisa”[2], con la conquista dell’impossibile, nell’“unità di sesso e possesso”[3]. Eppure la plurale qualità “epica” pretende la rivalsa del suo molteplice, del suo possibile, del suo genere. La dinamica di opposizione eroe-eroina non soddisfa altro che il criterio di “medesimezza” nell’uguagliare lo standard della prestazione maschile. E se eroina non è il femminile di eroe, l’epica non può limitarsi a raccontare una negazione. Se fosse molto di più? Se l’impresa non fosse tale oltre la quotidianità? Se il coraggio non si equiparasse alla forza? Se il possibile fosse ancora vivo nella trama del racconto? E se fosse il mare – realtà fluida per eccellenza, imprescindibile nel racconto epico - a parlare per raccontare il viaggio dell’eroe?

A conclusione delle domande e in apertura del dialogo sono proprio due spume del mare a raccontarsi, presenti sullo sfondo come “schiuma d’onda”, epica eroica del femminile.

Britomarti “Non ho fuggito i desideri, Saffo. Quel che desidero ce l’ho. Prima ero ninfa delle rupi, ora del mare. Siamo fatte di questo. La nostra vita è foglia e tronco, polla d’acqua, schiuma d’onda. Noi giochiamo a sfiorare le cose, non fuggiamo. Mutiamo. Questo è il nostro desiderio e il destino. Nostro solo terrore è che un uomo ci possegga, ci fermi. Allora sì che sarebbe la fine”[4].

 

Nicoletta Vitali

29-09-2013 "Io viaggio da sola"- Civitanova Marche-




[1] Horkheimer-Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, p. 56.
[2] Ibid. p.65.
[3] Ibid. p. 81.
[4] C.Pavese, Dialoghi con Leucò, pp.47-48.

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